Accade sempre più di frequente nella pratica professionale di trovarsi di fronte alla necessità di formulare una valutazione di una start up
e magari di una « start up innovativa », termine che è stato legittimato, anche sul piano giuridico, dal cd. Decreto Crescita bis ( D.L. 18 ottobre 2012, n. 179 ), che ne tratta con l’ambizione di incentivare nel nostro Paese la nascita e lo sviluppo di imprese con tali caratteristiche, all’art. 25 [CFF8467] . Articolo, per altro, che è stato più volte modificato, di recente anche l’ art. 4, D.L. 24 gennaio 2015, n. 3, a conferma di quanto sia l’interesse del Legislatore sul tema. Al di là della questione normativa, comunque, e tanto più quando si tratta di una start up di contenuto tecnologico, è chiaro che la difficoltà, tutta particolare, della valutazione di una impresa di questo genere è essenzialmente dovuta al fatto che non si possiede una serie storica di dati che consenta di valutarne in concreto una redditività che, al momento della misurazione del valore, spesso è solo potenziale. E questo, per chi come noi è abituato a misurare il futuro passando da una osservazione che si fonda (anche e spesso, soprattutto) sul passato non può che essere motivo di difficoltà e fonte di incertezza. Vengono meno, in sostanza, i consueti « test » che si possono fare sull’attendibilità degli stessi piani aziendali, la cui affidabilità di regola si è abituati a verificare con un metodo semplice: vedere se le «promesse» passate sono state mantenute, e se quanto si afferma di voler fare «tiene» alla luce della struttura aziendale che si è ormai andata consolidandosi in un’azienda «matura». Da qui l’interesse ad approfondire, senza alcuna pretesa di scientificità, il caso in questione.